L’anziano Paolo Ghinasci, ormai vecchio, sistemando un giorno la sua biblioteca, trovò tra le pagine di un vecchio romanzo una lettera oramai ingiallita e da anni dimenticata. Apri la lettera con una certa curiosità e con stupore ha potuto constatare che era stata scritta molti ma molti anni addietro proprio quando lui stesso era molto giovane. In un breve spazio di tempo un nuovo mondo le si apri davanti agli occhi.
Ed ecco…la storia della lettera oramai la poteva ricordare perfettamente.
Era giovane, vivace e attraente. Si trovava nella sua stanza assieme a sua moglie. Da due giorni che si erano sposati, ed è proprio in quel momento la pareva che sopra di loro flottava il colmo della felicità. Lui era un uomo colto, mentre la sua sposa era una donna non istruita, casalinga. Malgrado questa grande differenza culturale, loro sembravano fatti proprio l’uno per l’altro.
All’improvviso la porta si apri e sua sorella le sporse alcuni telegrammi di auguri appena giunti assieme ad una lettera che le era arrivata per posta. Dalla busta si vedeva che era di quelle usate dai giovani : busta ben fatta con ai lati rigati di rosso, giallo ed azzurro, e graziosamente profumata.
La giovane moglie appoggio la sua mano sulla spalla del giovane marito ed avvicinando il suo visino cominciò a guardare con interesse tra le righe della lettera senza arrivare a comprendere nulla, mentre Paolo senza alzare la voce e meravigliato inizio a leggere quello che c’era scritto:
Paolo!
Senza dubbio che questa mia lettera ti giungerà nei primi giorni del tuo matrimonio, ma ciò malgrado non ti illuderti che anch’io ti mandi gli auguri di felicitazioni , anche se il cuore me lo ordina di doverteli rivolgere .
Tu certo ti stupirai, poiché nemmeno mi conosci. Ho preso il coraggio di scriverti tanto apertamente, sia perché sto osando con questa mia freccia avvelenata di ferire la felicità iniziale del tuo matrimonio. Ma…anche se mi perdoni o no, io mi sento impaziente di manifestarti tutto quello che me lo ordina il cuore.
Non so se ti riuscirà a ricordarti di me proprio nell’aspetto che ho. Anzi non so se riuscirai a ricordarti proprio di me, poiché già da molto tempo che non ci vediamo più. Tra di noi è mancata solo la formalità della presentazione.
Ascolta! Te le voglio ricordare tutte, una per una:
Ti ricordi quando nel settembre scorso hai preso in affitto la casa della mia vicina? Tu sei venuto accompagnato da un signore. Io mi trovavo alla finestra di casa mia, proprio di fronte a quella della mia vicina. Appena ti ho visto mi sei sembrato molto attraente, con un corpo un po’ magro ed esile, di pelle chiara, capelli neri rigati e due sopraccigli neri, con due occhi lucenti ed un po’ incavati, con una fronte ampia e due labbra carnose. Quando ridevi facevano bella mostra di se i tuoi bei denti bianchi ma tanto regolari da sembrare essere stati proprio messi in fila e ben limati. E poi avevi un corpo alto e molto attraente. Mi ricordo che quel giorno ti eri messo una camicia bianca con un fiocco a due punte da sembrare due piume d’uccello. Un soprabito di colore azzurro scuro e pantaloni bianchi. Ti ho prestato attenzione anche quando parlavi. Le labbra le muovevi con lentezza e le parole sia quelle serie sia quelle ironiche uscivano dalla bocca con un suono magico. Tanto attraente e tanto caro mi sei sembrato, da non riuscire a saziarmi guardandoti tra le persiane della mia finestra.
Terminato l’affare dell’affitto, sei uscito per dare un occhiata alla città, senza curarsi di me. Ero molto curiosa di te, perciò corsi dalla mia vicina per conoscere i dettagli.
– Si chiama Paolo Ginushi ed è dai villaggi di K… Quanto è attraente! Questo mi ha saputo dire la mia vicina. Non so perché cominciai a gioire, quando appresi il tuo nome, ed anche quanto mi ha precisato che avevi preso in affitto una sua stanza. Mi allontanai da essa ripetendo il tuo nome:
– Paolo…Paolo! Che bel nome, bellissimo nome! Oramai avevo già diciotto anni e avevo visto e conosciuti molti giovani cittadini, ma a me… nessuno mi aveva ferito il cuore. Non m’interessavano i loro complimenti, non mi interessavano le loro stupidaggini. Ma, stranamente… il tuo sguardo mi ha scossa e la mia pelle si e messa a tremare. Forse qualche enigma si stava sprigionando dai tuoi occhi e dalla tua bocca? Ma…adesso ascolti ciò che ti devo dire ancora:
Come stordita mi mossi quel giorno. La casa della vicina mi sembrava proprio molto cara. Migliaia di volte girai inutilmente per la casa e poi scesi di nuovo verso quella della vicina. La trovai che stava mettendo in ordine la tua stanza. Non so che cosa mi ha spinto ma anche io cominciai assieme ad essa ad aiutarla nella sistemazione della tua stanza, anzi presi il coraggio e le dissi:
– Lascia stare, il letto lo sistemo io – Essa mi ha lasciato fare dicendomi con un sorriso:
– Sistemalo come pensi che sia meglio.
…Ed iniziai a sistemarlo: lo sistemai con tanta cura e tanta gioia come se tutte le mie speranze dipendevano dalle lenzuola del tuo letto. Ma ti devo dire che lo sistemavo e poi lo risistemavo non so per quante e quante volte, forse anche per mille volte. Non so perché ma il mio lavoro non riusciva a convincermi…ed alla fine lo lascia proprio come mi è sembrata ben fatta… cosi lo lasciai e me ne andai.
Pensieri, solo pensieri passavano per la mia testolina. Ti pensavo a te quando saresti rincasato di sera e guardare la stanza tanto ben pulita e per di più quando vedrai il letto tanto ben sistemato e…. Cosa potevi dire? Ero in un certo modo emozionata quando pensavo che per tutti questi servizi comincerai a ringraziare la padrona di casa, mentre per me nessun pensiero, anzi nemmeno ti passera per la testa un simile cosa.
Ma! Emozionante è stato quando venne il momento che ti ho visto: l’amore non viene a possederti lentamente; essa arriva rapidamente come il fulmine e giunge a possederti senza pietà e senza pensarci. Una vera lotta di sentimenti si svolgeva in me stessa. Nulla mi tranquillizzava, nulla ti dico, proprio nulla. Tante volte entrai ed uscii dalla mia stanza, facevo finta di cominciare a canticchiare qualche brano amoroso in prosa o in poesia, poi mi mettevo davanti allo specchio, guardavo il mio viso; una volta ridevo, altra volta mi corrugavo, una volta mi mostravo i denti, un’altra volta mantenevo un atteggiamento da gran signora, seria e ben pettinata. Queste erano stupidaggini, ma per me erano cosi com’erano, atti senza scopo.
Di sera sei entrato nella tua stanza accompagnato dal mio vicino di casa e da sua moglie. Ti ho sentito dire alla padrona di casa: “Vi ringrazio tanto, tanto”… allora saltai dalla gioia, e vero che ad essa erano rivolti i ringraziamenti, ma la soddisfazione era tutta mia…
Anzi ti ho seguita tutto l’anno; io dormivo proprio nella stanza dirimpetto alla tua. Spegnevo la luce e seduta su una sedia mi mettevo vicino alla finestra e ti guardavo dentro la tua stanza. Tu rientravi verso le 7 della sera. E questa regola la hai tenuta per l’intero anno. Ti mettevi seduto alla scrivania e cominciavi a leggere volumi di libri. Ecco, e come se ti vedessi davanti a me, poggiavi il libro davanti a te, poi un quaderno ed una matita al lato, e poi appoggiavi la testa sul palmo della mano ed iniziavi la lettura; ore intere rimanevi cosi curvo, sfogliando il libro e di volta in volta tenevi appunti sul quaderno al tuo lato. A me sulla sedia mi si chiudevano gli occhi e cadevo sul letto. Verso mezzanotte mi svegliavo e saltavo alla finestra. O Dio, ti vedevo ancora curvo sopra la scrivania e l’orologio segnava le 12 oppure anche l’una dopo mezzanotte. Tu non leggevi più; davanti a te c’erano un mucchio di lettere, alcune scritte, altre ancora no, e solo su quelle che erano già state scritte ci scrivevi ancora senza mai alzare la testa. Ma che sguardo si apriva davanti a me. Dalla finestra illuminata dalla lampada elettrica, il tutto viso non so perché mi sembrava che una volta si gonfiava ed in seguito si restringeva, i tuoi occhi come se s’ingrandissero sempre di più, le tue labbra come se si allungassero ed il mento si restringesse; la fronte pareva che si corrugasse ed il corpo intero si deformasse; mentre i capelli, proprio quei capelli che di giorno si manifestavano gagliardi e tanto ben pettinati sopra le spalle, adesso s’innalzavano e pareva come se sulla tua testa si ergeva un intero cespuglio di seta. Con quell’aspetto mi facevi immaginare cose strane; di volta in volta con quell’aspetto mi parevi come un idealista che soffre per il bene dell’umanità, altre volte mi davi l’aspetto di un guerriero mitologico, che lotta contro innumerevoli nemici per la verità; mentre altre volte mi dava l’aspetto di un uomo che combatte contro le pazzie del secolo, che cerca di porre la vita al di sopra di tutte, mentre alla morte sradicarle quella forza magica!
Mesi interi le hai passate in quella situazione; hai unito il giorno con la notte facendo diventare tutto giorno; mesi interi hai lavorato intensamente.
Ogni giorno aumentava la mia sofferenza per te; rimanevo per ore intere attaccata alla finestra osservando te. Spesso di giorno, quando tu non c’eri, entravo nella tua stanza, sistemavo meglio ancora il letto, mettevo un d’ordine nel mucchio dei libri che tenevi sopra la scrivania e fuggivo. Un giorno mi venne la voglia di portarti dei fiori, e cosi feci: presi alla mia vicina un vaso lo riempii con i più bei fiori dell’orto e li misi sul tavolo. Non ho saputo che impressione ti hanno fatto quei primi fiori.
Ad ogni modo sono sicura che pensavi che te li portasse la padrona di casa. Pero ciò malgrado io ogni giorno facevo il mio dovere. Un giorno sono rimasta molto commossa, appena entrai nella tua stanza, il letto lo avevi lasciato tutto sfatto: le lenzuola buttate da parte, il cuscino non era al suo posto, ed in tutto quel disordine del letto era come se avesti lasciato qualcosa: una traccia di commozione! Un sogno reale mi si offri davanti. Allora non mi trattenni, presi alcuni fiorellini e te li misi sotto il cuscino. Ma, te li misi sotto il cuscino molto commossa! questo gesto tu lo puoi considerare come vuoi : pazzia oppure stupidaggine, a me tanto mi fa. Quando li hai trovati I fiori sotto il cuscino, forse col cuore hai ringraziato la padrona di casa, ciò malgrado io fossi soddisfatta.
Un altro giorno, le lettere scritte la sera prima li ho trovate sparse e disordinate sulla scrivania, anzi ed alcune erano cadute per terra. Le raccolsi in tutta fretta ed allora gettai una rapida occhiata sopra un manoscritto, dove ho potuto leggere queste parole sottolineate: “L’amore è un illusione. Per poter essere sempre viva, deve essere un’illusione continua.”
Frastornata scesi giù. – L’amore dunque non sarebbe vero, ma sarebbe un illusione! Che peccato! – pensavo in seguito – Come? Sarebbero illusioni tutti i miei atti? Illusione sarebbe il mio amore? Dall’illusione sarei tanto attratta per amare tanto quest’uomo? Dell’illusione, cosa dici?! Ah, questa poi mai l’avrei pensata, né ascoltata e né cantata ! Ma Virgilio, Dante, Hugo, Goethe, ah questo intero mondo di scrittori e poeti famosi hanno scritto volumi per lodare l’amore definendola qualcosa di divino, qualcosa interamente sublime, mentre Paolo, il mio unico idillio della mia vita, lo distrugge, infama l’amore, lo chiama illusione, menzogna, irreale! Dio! Sara certo un uomo che non ha sentito “l’amore”, che non l’ha creduto, che non l’ha compreso! Tali pensieri mi frullavano per la testa. Malgrado ciò ti dovessi pur credere, sì, dovevo credere al mio idillio; credere che il mio amore fosse un’illusione, ma non proprio il mio amore, poiché questa mia è verace, è divina!
Era una mattina molto attraente del mese di maggio. Io stavo come sempre sulla soglia della porta di casa assieme a mia madre. Tu uscissi all’improvviso dalla casa della mia vicina, gettasti un’occhiata verso la nostra porta e appena ci hai visto, ci hai detto “buon giorno” sorridendoci; e poi ti allontanasti verso la città. Malgrado che là si trovasse anche mia madre, questo saluto mi è parso che lo rivolgessi solo a me.
Che felicità quel giorno! Il tuo “buongiorno” mi suonava sempre come una parola divina, fino ai più remoti angoli del cuore. E perché no? Questo era il primo saluto che mi rivolgevi dopo tanto tempo; questo era il primo sguardo attraente che mi rivolgevi dopo tanti mesi, avevo ragione dunque di considerarmi felice. Le parole del tuo manoscritto “L’amore è un’illusione” mi scuotevano ancora. Proprio quelle parole mi venivano alla mente a ogni momento e come se mi cadessero come proiettili sul cuore, perciò spesse volte disperata dicevo a me stessa: “A quanto pare non ama nessuna, ed a quanto pare mai amerà! ”
Le giornate passavano una dopo l’altra e tu come sempre ti mostravi chiuso, senza interesse. Raramente parlavi e raramente uscivi. Con tutti hai fatto conoscenza e tutti ti amavano molto. Per strada camminavi a testa bassa guardando sempre diritto: nemmeno il rumore della gente ti faceva più impressione. Spesso con le amiche ti guardavamo nella gita del pomeriggio sul viale sempre soprappensiero. Le mie amiche appena ti guardavano dicevano: ”sembra molto simpatico”. Io, allora, non so perché, sentivo rabbrividire tutto il corpo, mi si chiudeva la bocca, mi tremavano le gambe, perciò abbandonavo le amiche in mezzo alla strada e rientravo a casa.
Alla fine giunse il giorno quando andasti via. La tua partenza la ricordo come se fosse oggi. L’auto si fermò proprio davanti alla porta della vicina. Caricasti con cura tutte le tue valigie e poi hai iniziato con i saluti. Tutto il quartiere era uscito a salutarti.
Io ti stavo guardando dalla finestra, dalla quale ti avevo spiato per un anno intero. Ti ho visto quando hai salutato con grande commozione la tua padrona di casa ed ho ascoltato le belle parole che ti ha rivolto; ho seguito anche i saluti delle vecchiette: ti stringevano le mani e ti dicevano belle parole di saluto. Tu tutti e tutte le salutasti con espressione felice, e parevi molto commosso dei saluti che ti hanno rivolto.
Entrasti nell’auto e quella parti. Fino all’ultima curva continuavi a scuotere il tuo fazzoletto bianco. Mi pareva che i saluti fossero rivolti a me. Questa era una partenza commovente. Non potei trattenermi dalla commozione; caddi sul letto e piansi l’intera giornata…
…Piangevo perché mi ero mostrata tanto gelida verso di te: piangevo perché non mi hai mai trascurata; piangevo perché mai hai manifestato il minimo segno di avvicinamento; piangevo perché sei andato via senza saperlo che io ti ho tanto amata… Ecco perché quel saluto di maggio non me lo posso scordare, il tuo “buon giorno” ancora risuona alle mie orecchie. Era l’unico ricordo, nient’altro mi è rimasto di te.
Dopo che tu sei partito tre mesi di seguito ho sognato una vita piena di fiori tra le tue braccia; ho pensato che l’amore veramente esiste; che é divina e che tiene in mano le chiavi dell’affetto.
Ma, ah, aspetta Paolo, aspetta. Devo raccontarti l’ultima. La scorsa domenica siamo andati in casa della vicina ed insieme a lei siamo entrati di sopra nella tua camera. Tutti gli eventi mi venivano alla mente una per una: Tu mi apparivi davanti cosi bello, attraente ma tanto indifferente. Poi con la vicina di casa scendemmo giù sulla porta di casa e parlammo vivacemente di questioni di gioventù. Proprio di te stavamo parlando, quando all’improvviso apparve il postino e consegno alla vicina una busta aperta. La aprimmo con curiosità! Ma cosa leggere? Era il tuo invito che comunicava le tue nozze.
– Ti sono morti i genitori! – se me l’avessero comunicato proprio in quel momento, non mi avrebbe addolorato tanto, quanto mi ha trastornato la notizia del tuo matrimonio. Hai sentito? La morte dei miei genitori non mi avrebbe tanto addolorato quanto mi ha scosso la notizia del tuo matrimonio. Pallida mi allontanai dalla vicina ed andai nella mia stanza. Questa volta piansi tanto, poiché avevo sepolto anche la mia ultima speranza: prima pensavo che l’anno prossimo ci saremo conosciuti meglio, ma adesso scomparve anche questa speranza. Non trovavo nessuna consolazione, nessuna… Per quattro giorni di seguito ne mangiavo, ne bevevo e ne dormivo. Gli occhi erano continuamente in lacrime e il viso pallidissimo.
Avevo bisogno di consolazione e questa consolazione la sto trovando scrivendoti questa lettera, dove sfogo il rancore del mio cuore. Ti ho detto che il tuo matrimonio mi ha fatto scomparire la mia ultima speranza, ma non mi ha spento nessuna scintilla del mio amore. Ma… le parole del tuo manoscritto “L’amore è un’illusione” di nuovo mi scuotono tanto. Non riesco a trovare perché dovrebbe essere un’illusione, il mio amore verso di te, mentre il più piccolo pensiero per te mi commuove? Per ore intere rimango appoggiata alla finestra come una volta, immaginandoti di trovarti ancora dirimpetto; in ogni momento ho sulle labbra il tuo nome, continuamente ti ricordo con nostalgia; ed ora con la notizia del tuo matrimonio, l’amore mi sta scuotendo sempre di più: dimmi dunque, è questo che dobbiamo definirlo un illusione ?… Ma tu conosci la vita meglio di me, tu quest’affare l’hai pensato a lungo e lo hai studiato per il sottile ; tu sempre sei stato guidato dalla ragione, mentre io dal desiderio; tu hai pasta, mentre la mia intera pasta é solo sentimento, perciò forse hai ragione. Ma… no, no, per il mio amore. Io ti voglio bene, benché sappia che tu non mi ami.
Non ho più forza di scriverti: come un fiume scorgono le lacrime e la mano mi trema, mentre il cuore batte come impazzito. Adesso solo una cosa chiedo da te! Non voglio che tu mi ami, poiché l’amore per te e solo un’illusione, ma voglio solo che ti ricordi di me, trovarmi solo nella tua mente. Solo questo sacrificio voglio da te. Anche quando gli anni ti faranno diventare curvo la schiena e le preoccupazioni ti faranno incanutire i capelli, dovrai essere sicuro che il mio amore non sarà spento, poiché io ti amo non per altro, ma perché voglio amarti.
Addio per la vita! Ricordami.
Neta
Appena finito di leggere la lettera, due lacrime scesero dagli occhi di Paolo. Uno per uno le si presentavano davanti agli occhi il suo studio, il letto, I fiori e per di più Neta, quella ragazza che tanto l’aveva amato. Sua moglie ha visto la sua commozione, perciò le chiese della lettera.
– Mi è morta un amica! – rispose immediatamente Paolo e poi aggiunse;
– Che il ricordo consoli l’innocente Neta!…
Questi ricordi commoventi hanno commosso molto il nostro vecchio dai capelli bianchi; Lui si strofino gli occhi e gemette. Lesse ancora e continuo a leggere varie volte di seguito la lettera ingiallita ed alla fine disse a se stesso:
– Chissà con chi si sarà sposata! Chissà quanti figli avrà avuto! Chissà se ancora vivrà con l’illusione dell’amore, quella Neta tanto semplice, con quella grande anima.
1937
Tradotto: Robert Cipo