Il Mandolino Abbandonato – Dhimitër Shuteriqi

ShkrimDal primo anno che andai al liceo, iniziai ad apprendere a suonare il mandolino. Io avevo intenzione di apprendere o il violino o almeno la chitarra. Ma il nostro maestro di musica non conosceva tanto bene il violino e per la chitarra mi diceva che avevo le dita molto corte. Chitarre piccole non c’erano sul mercato. Appresi dunque il mandolino, e mi prese una tale passione per esso da lasciar perdere anche le lezioni della scuola basta poter suonare il mandolino.
Ero a metà dell’anno scolastico, periodo di esami. Fui obbligato a mettere da parte il mio strumento musicale e mostrare più attenzione alle lezioni. Ma appena finiti gli esami, presi di nuovo il mandolino e non ci fu verso di abbandonarlo, notte e giorno. Iniziai ad annoiare tutti quanti. Poiché non solo non avevo appreso a suonare bene come si deve qualche canzone, ma facevo esercizi dopo esercizi. Questi esercizi per me erano tanto faticosi  quanto noiosi per chi li ascoltava.
Ma questo non fu nulla. La più grande vene quando ritornai a casa per le vacanze. Andai direttamente a Pogradec dove si era trasferita l’intera famiglia in villeggiatura. Dall’alba e fino a notte inoltrata, per quindici – sedici ore di fila, il mio mandolino non cessava di suonare. ad eccezione di quelle ore che andavo a nuotare al lago. Non c’era verso che la gente andasse a dormire per la siesta.
Avevo iniziato adesso ad apprendere canzoni su canzoni, un numero di valzer, di polche e di mazurche, ed ogni giorno apprendevo una nuova. Dopo un mese iniziai con le serenate, da quella di Toselli fino a quella Schubert, tutte le serenate una dopo l’altra. Finito con le serenate iniziai con i brani d’opera, dal “Guglielo Tell” di Rossini fino al “Tanoiser” di Wagner, dalla “Boheme” di Puccini fino alle famose arie di Pergolesi. Nel mio repertorio erano entrate anche la “Barcarola” di Tchaikovski, “le Fantasie” di Schuman, brani dalle “Rapsodie Ungheresi” di Listz, le danze spagnole di Albenis ecc. , il ”Canto di Solveig” di Greig e molte altre ancora – canti, valzer, mazurche, marce fino ai minuetti, ed i famosi minuetti di Boccherini e Paderevski.
State sicuri che, tutto questo lavorio, non venne fatto solo in un mese o due, o in un’intera estate, ma durante due – tre anni di seguito. E durante tutto questo tempo continuavo ad annoiare tutto il mondo, anche a perdere in salute.
Divenni un suonatore proprio bravo in mandolino. La passione per la musica aveva acceso in me un sentimento molto grande, che invase tutto il mio essere.  Ma passarono due – tre anni e cominciai ad occuparmi meno dello strumento. Adesso il tempo maggiore veniva occupato nella copiatura degli spartiti. Ogni nuova canzone, ogni brano musicale sconosciuto, io lo dovevo copiare. Avevo raccolto cosi una vera collezione con centinaia di brani. Anche questa attività mi ostacolava per le lezioni. Mio padre, nelle sue lettere, mi rimprovera di non essere più il primo della classe, e nemmeno tra i primi.
Venne poi un giorno che il mio fervore per la musica inizio a spegnersi. Le sue ultime fiammate, a quanto posso ricordarmi, sono state quelle di alcune canzoni che avevo composto io stesso – un valzer, una marcia e non so che altro. Il valzer piacque ad una pianista della città, ma me la criticò poiché ad un certo punto superava di un’ottava in modo innaturale…
MandolinoVenne poi un giorno che non copiavo più le note ed il mandolino lo suonavo sempre meno, quando ero annoiato, oppure nelle serate musicali della scuola, oppure quando facevamo le serenate con le barche sul lago di Pogradeci (Lago di Ocrida), al lume di luna.
Finalmente abbandonai per sempre il mandolino. Dovevo aver avuto allora circa sedici – diciassette anni.
Adesso mi sentivo io disturbato da un mio cugino che suonava il violino notte e giorno proprio vicino a casa nostra. Lui era più perseverante di me.
Ma qualcuno era il più forte di tutti. Questo era Duleman, anche lui da Elbasan, che studiava musica in Italia. Il suo strumento era la tromba. Quando rientrava per le vacanze, Duleman, che di casa era vicino al Grande Orologio, con la sua tromba non lasciava fare la siesta a metà della città.
Però c’era ancora gente che era molto attratta da questo strumento. Il proprietario del un piccolo cinema, dove ci si soffocava, pagava al trombettista per suonare la sua tromba prima che iniziassero le proiezioni. Allora Duleman suonava i brani più noti, come le Serenate di Toselli e di Schubert, le “fantasie di Schuman” ed in particolare l’aria “Muoio disperato” dalla “Tosca” di Puccini. Tutti questi erano brani dolci e melanconici. Ma suonati dalla tromba diventavano proprio insopportabili. I suoni di tromba si ribattevano nei muri come se stessero lottando con loro per poter slanciarsi di fuori, allora l’intero cinema tremava tutto per colpa della tromba. Duleman gonfiava le guance, grondava di sudore, ma suonava con tanta passione la tromba, che nei suoi occhi si potevi veder qualche lacrima che le usciva dagli occhi e si mischiava con le gocce del sudore.
Avevo più pietà per lui che per le mie povere orecchie. Lo vedevo sforzarsi in mezzo al calore dell’estate., ricordandomi di me stesso, quando suonavo il mandolino giorno e notte. Forte ero stato anch’io….
Passarono gli anni ed il mandolino lo abbandonai per sempre. Adesso si era impadronita di me un’altra passione – la poesia.
Mi capitò che un’estate per certi miei affari andai da Pogradec a Elbasan. Andai a dormire a casa. La famiglia si trovava in villeggiatura a Pogradec. Tutta quella casa senza gente, senza rumore, con tutte le finestre chiuse, con un pesante odore di polvere, mi colpi al cuore. Immediatamente venni oppresso dalla solitudine.
Non so come fu, ma mi venne alla mente il mandolino. Saltai giù dal letto e iniziai a cercare. Alla fine lo trovai in un angolo dello sgabuzzino.
Là, tra i rifiuti della casa – piatti, bottiglie, scatolame – trovai due-tre mucchi delle mie collezioni impolverate delle canzoni che io stesso avevo copiato  I topi avevano fatto il loro dovere, poiché da per tutto si trovavano pezzettini di carta. Sopra le canzoni coperte di polvere e rosse dai topi, il mio mandolino stava là come se fosse rimasto legato da innumerevoli fili delle ragnatele.
I suoi ornamenti fatti di uccellini di madreperla incollati stavano cadendo e mi guardavano con affetto e rimprovero attraverso quello strato di polvere. Sopra di loro, le corde oramai rotte ed arrugginite pendevano sciolte e distorte da far compassione. Le corde era da tempo che tacevano.  La nostalgia per la canzone le aveva tanto corrose da farle rompere.
Non so come mi sentii. Non so cosa mi ha colpito di più il cuore. Ebbi vergogna di me stesso, per essermi lasciato spegnere tutto quel grande affetto per la musica. Il mandolino con i suoi uccellini cadenti pareva che volesse   gravemente  rimproverarmi e che mi dicesse di essere stato tanto senza cuore. Aveva ragione.
Di fuori iniziava e piovere a dirotto. Eravamo a metà di Luglio. I chicchi di grandine si abbattevano sui vetri delle finestre. L’afa nello sgabuzzino divenne insopportabile. Gli uccellini di madreperla del mandolino mi stavano guardavano con occhi ancora più melanconici.
Aprii con forza la finestra. Avevo bisogno di respirare l’aria. Il vento entro nella stanza con tanto furore da far mettere a soqquadro tutto quanto. Ed in tutto quel trambusto si sentirono le corde del mandolino tintinnare tanto pietosamente da non poterli descrivere.
Uscii fuori di li, cercai nei armadi, nelle casse, nelle scatole, per l’intera casa, ed alla fine trovai un paio di corde nuove. Le montai al mandolino, lo accordai ed iniziai a suonarlo.
Suonai “Il canto di Solveig” di Grieg, poi “la Barcarole” di Tchaikovski, “le Onde del Danubio” di Jovanevich, la marcia dalla “Carmen” di Bizet. E cosi di seguito, iniziando dai brani melanconici e terminando con i brani più allegri del mio repertorio. Il mandolino risorse.
Le dita mi dolevano, perché era passato del tempo senza suonare, ma io continuavo a ricordarmi  brano dopo brano e non mi staccavo dal mandolino.
Il sonno mi colse molto tardi, suonando chissà quale melodia .
Al mattino seguente, quando il sole cadde sul letto, mi svegliai. Il mandolino stava ancora là, vicino a me. Gli uccellini di madreperla  stavano ancora attaccati forte ad essa, ed i loro occhi, sotto i raggi cocenti del sole, splendevano con una inesprimibile gioia.

Përktheu Robert Cipo

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