Dhimitër Shuteriqi (1915-2003)
“Dhimitër S. Shuteriqi lindi në vitin 1915 në Elbasan dhe vdiq më 22 Korrik të vitit 2003. Ishte shkrimtar, poet dhe studiues i shquar shqiptar. Studimet e para i kreu në Liceun Francez të Korçës dhe ato të larta, për filozofi e drejtësi, në Grenobel dhe Lyon të Francës. Mori pjesë aktive në Luftën Antifashiste Nacionalçlirimtare. Me shkrime filloi të merret që në rininë e hershme duke u përqëndruar në poezi, romane dhe novela. Vepra e tij e gjerë hulumtuese shkencore iu kushtua filleve të qytetërimit shqiptar. Dhimitër S. Shuteriqi drejtoi për një kohë të gjatë Lidhjen e Shkrimtarëve dhe Artistëve të Shqipërisë si kryetar i saj. Ai ishte anëtar i Akademisë së Shkencave që prej themelimit më 1972 dhe një ndër themeluesit e arsimit të lartë shqiptar.”
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Anche questi sono tra i miei primi ricordi che mi piace richiamarli alla memoria.
Tra gli anni 1924-27, ad Elbasan venne quasi per tre anni di seguito una troupe teatrale girovaga dell’attore armeno Miran Efendi. Non posso dirlo da dove veniva questa troupe, ma a quanto pare dalla Turchia. Non so se gli artisti davano spettacolo anche in altri luoghi d’Albania. Mi ricordo solo che loro parlavano in turco ed avevano un grande successo. Io ho assistito a tutti i loro spettacoli.
I spettacoli venivano dati nella sala di un gran caffè, dove potevano insediarsi circa duecento persone. Sedie non ce n’erano per tutti, cosi che una parte dei spettatori si mettevano seduti per terra a gambe incrociate. Mi ricordo che erano rare le donne che frequentavano il teatro, solo dieci o quindici mogli dei impiegati.
La troupe di Miran Efendi era composta da poche persone. Capo attore era lo stesso Miran. Lui interpretava tutti i ruoli principali. Era Otello, poi Re nel dramma “Genovefa di Bramante”, poi Macbeth, e non so che altro. Lui era anche regista e pittore.
Miran Efedi faceva la gente piangere e ridere.
Quando si presentava come Otello il moro, con un paio di lunghi orecchini d’oro, con labbra carnose e rosse, con due occhi grandi che incutevano terrore e quando girava per il palcoscenico come un leone inferocito, gridando ed urlando. La gente allora si stringeva uno a l’altro e non si sentiva fiatare nessuno.
– Dushman (traditrice) – gridava Otello e l’intera sala tremava.
Poi quando lui alzava il suo pugnale lucente e lo spingeva fino al manico nel bianco petto di Desdemona, si sentivano urla di terrore, come –
“Ah.., non farlo, ti scongiuro”, che la stessa Desdomona non era in condizioni di pronunciarle con tanto orrore.
– Ti scongiuro, non ucciderla…!
– No…!
Una volta, mentre Otello uccideva Desdemona, una signora cadde svenuta, in sala ci fu grande confusione. Mi ricordo che c’era gente che disse che Otello non doveva uccidere Desdemona, poiché stava guastando il sangue alla gente. Si decise in seguito di non ammettere i bambini allo spettacolo ma non fu cosa da farsi. La regola venne trasgredita dallo steso prefetto, e poi anche da qualche altro funzionario e cosi di seguito.
Quando poi Miran diventava comico, la sala non poteva trattenere le risate. Non potrò mai dimenticare una sua scenetta. Questo brano, Miran lo presentava immediatamente dopo l’Otello, sicuro di poter far rincuorare la platea per orrore subito.
Sul palcoscenico entrava un signore vestito elegantemente. Il nome di quel’ attore non me lo ricordo. Lui sedeva su una sedia e Miram si sedeva su un altra sedia proprio di fronte a lui, volgendo le spalle ai spettatori. Poi Miran prendeva un cartone e due tre pennelli, i colori, e iniziava a fare il ritratto del rispettoso cliente. Quest’ultimo con baffetti a coda di topo, pettinati all’insù, si atteggiava a delle pose gonfiandosi il petto. In testa un fez rosso alto due palmi, u po’ inclinato da un lato, con un colletto bianco e molto largo, che le faceva mostrare il collo più lungo del solito.
Prima ancora che Miran cominciasse a dipingere, l’intera sala scoppiava in una fragorosa risata, dal modo come lui si prendeva cura di far sedere sulla sedia l’illustre signore come se fosse stato un barbiere od un fotografo. Il signore obbediva ciecamente ai suoi ordini, ma succedeva che una volta le cadeva per terra il fez, un’altra volta era uno dei baffi si rivolgeva verso l’alto, un’altra volta le si staccava il colletto che s’innalzava verso l’alto ma con tanta forza da farli scricchiolare le mascelle.
Infine, dopo tutti questi preparativi, Miran si sedeva sulla sua sedia. Ma si sedeva tanto al lato, che cadeva sul palcoscenico tutto disteso con le gambe per l’aria. Le risate in questo caso giungevano alle stelle.
Dopo centinaia di simili giochetti, alla fine Miran cominciava finalmente a dipingere. Il cartone lo teneva in modo tale che l’intera sala lo potesse vedere. Lui iniziava il suo lavoro dal basso. Dipingeva come una sorta di cravatta, ma aggiungendo poi due tre righe, la cravatta allora si trasformava in un campanello.
Scrosciavano le risate. Miran volgeva la testa verso il pubblico e stizzava l’occhio. La risata diventava ancora più tuonante. Il gentiluomo che stava posando, s’arrabbiava, si alzava e urlava come un pazzo girando sul palcoscenico. Miram lo tranquillizzava e di nuovo lo faceva sedere in posa.
Questa volta iniziava il suo lavoro dall’alto. Disegnava come la forma di due orecchi grandi appuntiti, poi due occhi strambi, che si guardavano tra loro in cagnesco.
Durante questo periodo il gentiluomo in posa, storceva tanto forte li occhi che la sala si smascellava dalla risata. Lui si alzava ed impazziva di nuovo girando per il palcoscenico. Miran in piedi pregava i spettatori di restare tranquilli, poiché aveva paura che il cliente se ne andasse, e dopo tante suppliche lo metteva di nuovo in posa.
Alla fine Miran finiva il ritratto, e con tre quattro rapide pennellate sul cartone faceva risultare un somaro dagli occhi strambi ed il campanello appeso al collo.
Allora la risata diventava incontenibile, l’intera sala si alzava in piedi ed applaudiva, ed in modo particolare quando il gentiluomo dipinto protestava perché Miran l’aveva dipinto come un mulo col campanello, mentre l’altro li diceva che non l’aveva dipinto come mulo ma come asino col campanello. (In sala c’era gente che ad alta voce traduceva dal turco e spiegava tutte queste parole…)
Il ruolo di Desdemona, allo stesso modo del ruolo di Genoveffa di Brabante la interpretava la moglie di Miran, che mi pare si chiamasse Fatma.
Miran era nero e di naso ricurvo, tipo lungo e secco. Fatma era bassa e molto grassa, con alcune braccia come travi, il collo a cinque cerchi. Era bianca, con colorito bruno ben accentuato. Quando interpretava si imperlava di sudore.
Quando diventava Desdemona o Genoveffa, essa metteva una parrucca di bionda dorata e sembrava molto brutta. Almeno a me non piaceva affatto, come se lo avessi saputo che sia Desdemona che Genoveffa, dovevano essere donne delicate e molto giovani. Sia Otello, il terribile moro di Venezia, che girava come un leone sul palcoscenico, sia Jago lo spirito maligno, ruolo interpretato molto bene dal gentiluomo, che Miran lo dipingeva come somaro col campanello, e tutto ciò faceva sì che non venissero alla luce tutti i difetti di Fatma.
Consideravamo che sul palcoscenico non esistesse Desdmona, malgrado che Desdemona era da squartarla in quattro. Alla Desdemona nessuno ci faceva caso. Qualche volta, quando sudava, la compativamo.
La troupe di Miran Efendi aveva anche la sua “stella”. Questa stella era Margherita, giovinetta di quattordici quindici anni, anche essa armena bruna, con un corpo slanciato, la vita stretta e gli occhi melanconici da giovenca.
Margherita interpretava il ruolo del figlio di Genoveffa, coperta di foglie di bosco. Quando andava sul palcoscenico noi eravamo stupefatti e trattenevamo il respiro. Quando parlava con sua madre a noi si riempivano di lacrime gli occhi ed alla Genoveffa nessuno faceva caso anche se sudasse.
La grande maestria di Margherita era nella danza. Essa appariva sul palcoscenico coperta da un velo bianco, come una farfalla, e noi eravamo sbigottiti dai suoi movimenti. Un’altra volta essa si presentava vestita di brache come le donne orientali, metteva in testa un tepoç ricamato (fez per donna), carico di monete d’oro, e danzava muovendo vita e collo, Scricchiolando le dita. Allora l’intera sala scricchiolava le dita come Margherita e gridava ritmando “Oppa, oppa”.
Questa era dunque la troupe di Miran Efendi.
Non so perché Miran e la sua troupe non venne più ad Elbasan. Ma mi ricordo che quel anno che lui non venne più, i ragazzi della scuola pedagogica misero in scena una tragedia dal nome “Roberto Giuscardo”. (dramma albanese).
Robert Guiscardo sarebbe stato un principe normanno dalla Francia vissuto quasi novecento anni fa’, che avrebbe espugnato anche l’Albania in guerra con l’imperatore del Bisanzio. Nella tragedia lui s’innamorava di un giovine albanese che in seguito veniva ucciso. Lo studente che interpretava il ruolo di Roberto Guiscardo mostrava tanto zelo, che, quando veniva colpito dalla spada del suo rivale, si lasciava cadere sul palcoscenico come un corpo morto e si faceva veramente male. Per questo era ammirato da tutti.
– L’interpreta tanto bene, da farsi veramente male il poveraccio!
Ed ecco cosa successe un giorno. Roberto Guiscardo interpreto tanto bene il suo ruolo, tanto che quando dovette cadere per terra con tutto il peso del suo corpo, la sua testa sbatte su un binario che reggeva lo scenario. Il binario usci dai cardini, il scenario si scosse come da un terremoto, e tutto rovino su Roberto.
Gli spettatori sorsero in piedi sbigottiti; Ma qualcuno cominciò ad applaudire, pensando che cosi doveva terminare la scena, con lo scenario rovesciato e non con la cortina abbassata.
Roberto Guiscardo gemeva sotto lo scenario e sotto i binari, il sangue li colava continuamente.
Alla fine la gente si avide cosa era veramente accaduto. Qualcuno disse:
– E cosa possiamo dire di Miran Efendi, lui pugnalava la moglie sul petto, e non usciva una goccia di sangue.
– Ma sei stupido lui aveva un pugnale di carta, rispose l’altro.
– Ma come è possibile? Io credevo che lui facesse magia! – si stupì l’altro.
Cosi era il teatro ai nostri tempi.
Përktheu Robert Cipo